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ancora non cessa di travagliarmi ; e pur in questo punto mi vien riferito da un da ben gentiluomo, che alcuni suoi vanno facendo qui diligente inquisizione dell’essere e delle qualitá mie, con animo d’affogarmi o di spaventarmi con le maledicenze. Guardate malignitá che son queste, e se con tanti stimoli si può star saldo alle mosse! Ma io sentirò volentieri quel che saprá dir de’ fatti miei, e secondo il suono che fará, cosi ballerò. Me può ben egli riprender de’versi ; ma della vita non, come si crede. Dall’altro canto mi son dette cose di lui, che, se varrá a dir male d’altro che di canzoni, chi n’ará peggio, suo danno. Pur in questi gineprai non entrerò, se non provocato. Ed ora per repararmi, giacché da tutti ne son stimolato, e dalla sua insolenza e dagli suoi tirato per gli capelli, mi delibero di lasciar uscir le mie difese. Solo aspetto che vegnate a Orvieto o qua, secondo che promettete, per mostrarvele: poi darò lor la pinta. Intanto ho voluto dirvi queste cose, per rispondere a quel che me n’avete scritto, e perché mi giustifichiate, dove bisogna, che io son messo in questa pratica a mio dispetto. Attendete a star sano ed amatemi.

Di Roma, agli 17 di maggio 1555.