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IX

La nobil Secchia ara per nume un drago, che per far rospi d’innocenti rane, i ruscelli infettando e le fontane, spars’ha d’Averno e di Mefite un lago?

Quinci, rivolta al ciel l’empia vorago, vome; e, fischiando orribilmente immane, spira nebbie si fosche e si lontane, che ’l sol ne vela dal Cefiso al Tago.

Febo, com’è che soffri il tetro e nero fiato di questo nuovo empio pitone, se sei padre di luce e fai l’arciero?

Com’ è che teco il gran Giove non tone, se d’ambi incontr’al sacrosanto impero osa un antropofago, un lestrigone?