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canzone del caro 11

che ’l cor le punga, o di Calisto o d’io.
Suo merto e tuo valor, donna gentile,
di nome e d’alma inviolata e pura.
E fu nostra ventura,
e providenza del superno Iddio,
ch’in si gran regno, a si gran re t’unio,
perché del suo splendore e del tuo seme
risorgesse la speme
della tua Flora e dell’Italia tutta.
Che se mai raggio suo ver’lei si stende
(benché serva e distrutta),
ancor salute e libertá n’attende.
     Vera Minerva, e veramente nata
di Giove stesso e del suo senno è quella
ch’ora è figlia e sorella
di regi illustri, e ne fia madre e sposa.
Vergine, che di gloria incoronata,
quasi lunge dal sol propizia stella,
ti stai d’amor rubella,
per dar piú luce a questa notte ombrosa.
Viva perla, serena e preziosa,
qual ha Febo di te cosa piú degna?
per te vive, in te regna;
col tuo sfavilla il suo bel lume tanto
ch’ogni cor arde, e ’l mio ne sente un foco
tal, ch’io ne volo e canto
infra i tuoi cigni, e son tarpato e roco.
     Evvi ancor Cintia, e v’era Endimione:
coppia che si felice oggi sarebbe,
se ’l fior che per lei crebbe,
oimè non l’era (e ’n su l’aprirsi) anciso!
Ma che, se legge a morte amore impone?
se spento, ha quel che (piú vivendo) avrebbe?
se ’l morir non rincrebbe,
per viver sempre, e non da lei diviso?
Quante poi, dolci il core e liete il viso,