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SOGNO DI SER FEDOCCO

A MESSER LODOVICO CASTELVETRO

Avendo inteso, messer Lodovico Fantaguzzo, che voi fate l’Edipo dei misteri del Petrarca, ho pensato che sarete anco facilmente il Daniello d’un mio sogno; e perché ne desidero diligente interpretazione, ve lo scriverò distesamente, cominciando dall’occasion d’esso. Avete a sapere ch’io sono uno di quelli che si versano talvolta il cervello in su le carte; e volendo a questi giorni smaltire un certo umore che mi sentiva nel capo, mi diedi a comporre una mia cantafavola, nella quale mi venne usato alcune di quelle voci che sono riprese da voi nella canzone del Caro. E giá stava per mandarla alla mia signora, quando comparse la vostra censura: per la qual vedendo che voi le scomunicavate, mi posi di nuovo a fantasticare per mutarle; ma, tornandomi ogni altra cosa peggio, all’ultimo, per istracco, me n’andai con quella imaginazione a letto. E dormendo, senza aver altramente cenato (ché non pensaste che ’l sogno procedesse dai fumi dello stomaco), mi parve d’essere in un gran prato, pieno di ogni sorte d’erbe e di fiori, a capo del qual sorgeva un colle, con due cime elevate al cielo. Delle bellezze di questo loco, del sito, della serenitá e dell’amenitá d’esso, dell’acque, degli allori, de’ cigni, dell’aquile, di non so che cavallo alato e d’altre meraviglie ch’io v’ho vedute, e dei canti ch’io v’ho sentiti, non accade ora ch’io vi dica: basta che, invitato dalla dolcezza del loco, me n’andava con molto diletto diportando per esso. Ed avendo, in sul prato giá detto, alcune mie ghirlande tessute, vidi in un tempo, non so donde né come,.