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credete, perché v’imaginate ch’io sappia». Ed anco questo mi parrebbe gran cosa che fosse uscito di bocca a voi: pur la veritá ha una gran forza; perché senza dubbio, dicendolo, dalla parte vostra direste il vero che non sapete, e potrebbe esser vero che non si sapesse da quelli infelici che si credono che sappiate. Ma perché gli altri tutti, che hanno punto di sapere, lo sanno benissimo, voi non potreste aver detto il piú bel tratto di questo, di saper voi, e di non esser saputo dai vostri, che voi non sappiate. E quanto al creder dell’universale, sareste del vostro non sapere tanto piú certo che non fu Socrate del suo, quanto egli se ne risolvè da se stesso e non gli fu creduto dagli altri, e voi ci areste il testimonio e la credenza degli altri tutti. Ma io mi risolvo all’ultimo, che voi vogliate intendere questa vostra sapienza alla castelvetrica e non alla socratica, riscontrandosi questa vostra gran presunzion di sapere assai, con quel che ne dice ognuno e con quel che ne scrivete voi stesso negli altri luoghi. Notate, voi che leggete, le parole che quest’uomo sputa di sé in persona di quel suo faceto grammaticuccio, che sono queste proprie, d’aver «cento liti grammaticali in Parma, in Bologna, in Firenze, in Ferrara, in Vinegia, in Padova, e che i suoi aversari sono i Nizzoli, i Luigini, i Corradi, i Varchi, i Vittori, i Pigni, i Giraldi, i Ricci, i Dolci, i Ruscelli, i Manuzi, i Robertelli, i Fagiuoli, i Speroni ed altri assai». Avertite quando, scusandosi di non aver menate le mani adosso alle cose del Caro, soggiunge: «E m’era uscito di mente di farlo, per le molte brighe di lettere, nelle quali tuttavia mi vo ravviluppando, mentre procaccio con ogni mio sforzo di cacciar l’ignoranza dagli intelletti degli uomini della presente etá; benché, come chiaramente m’aveggo, che che si sia di ciò la cagione, m’affatichi indarno». Mirate quanto vento, quanta impudenza e quanta pazzia sono in queste parole, e se da queste sole non si può fermamente risolvere ch’egli si tenga il primo savio dell’universo! Guardate come egli allaga del suo sapere tutte le piú famose cittá d’Italia; come si mette innanzi, a guisa di pecore, una schiera di tanti famosi ed onorati valentuomini ! Sentite con che velenosa ironia