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44 Open source, software libero e altre libertà

costrizione alcuna. Per chi non distribuisca a terzi il software, ma lo utilizzi solo internamente, non vi è alcuna differenza a livello pratico tra le varie forme di licenza, il copyleft non è una faccenda rilevante.

Il copyleft scatta con la distribuzione.

Solo per chi distribuisce il software si pone dunque un problema effettivo di rispetto delle condizioni di licenza. Cosa accade, però, in quelle situazioni in cui non vi sia effettiva distribuzione, ma ciò non di meno il software venga messo a disposizione di terzi? In tal caso le licenze tradizionali nulla possono. Questo fenomeno è da tempo fonte di preoccupazione per alcuni osservatori, addirittura da prima che per il cosiddetto “Software as a Service” divenisse una forma effettiva di utilizzo del software, e invece di “cloud” si palava di “Application Service Provider” (fornitore di servizi di applicazioni, abbreviato “ASP”). Infatti al fenomeno si diede il nome di ASP loophole (trucco dell’ASP), ovvero la possibilità per uno sviluppatore di poter sfruttare software copyleft, metterlo a disposizione di terzi, ma senza consegnare il codice, essendo così libero dalle incombenze del copyleft (forte o debole) in quanto le condizioni non sono attivate. In questo modo il fornitore in cloud beneficia di un bene comune, lo sfrutta commercialmente, ma non restituisce al common alcunché.

Per tentare di ovviare a tale problema, Bradley Kuhn, un attivista americano, concepì una clausola aggiuntiva alla GNU GPL v.2 che venne conosciuta come “Affero clause” (dal nome del progetto per cui Kuhn lavorava e per cui concepì la clausola). La Affero è l’unica condizione di copyleft che viene attivata non dalla distribuzione, ma dall’uso del software in una particolare situazione: quella sfruttata per dare