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40 Open source, software libero e altre libertà

soggiacere alla stessa licenza. Le licenze che seguono questo paradigma vengono dette anche “ultraliberali”, nel senso che consentono di fare quel che si vuole (una si chiama appunto “WTF ‒ What The Fuck [you want] ‒ license”: non traduco per decenza).

In ciò rientra anche rendere il software interamente proprietario, secondo la parabola dei primi UNIX, di cui abbiamo parlato nello scorso capitolo su cui non torneremo.

In tali licenze, che per la tradizione storica vengono anche dette “accademiche” abbiamo licenze legate appunto all’ambito universitario: la BSD (dove “B” sta per “Berkeley”), e, meno diffusa, la MIT. La BSD in realtà esiste in tre sfumature, a seconda di quante clausole è composta (la più utilizzata è senz’altro la three-clauses). La MIT, invece, esiste in una serie quasi infinita di varianti. Sono licenze molto semplici, in cui le principali condizioni sono quelle di riconoscere l’assenza di responsabilità dello sviluppatore e quella di indicarne il nome dell’autore quando si distribuisce il codice sorgente. Queste licenze sono molto popolari tra alcuni sviluppatori perché sono molto semplici e non vi abbonda il “legalese”.

Alle accademiche si accompagna un’altra licenza molto utilizzata, la Apache Public License, licenza usata dalla Apache Software Foundation, che si occupa del più famoso e utilizzato server web. La Apache, al contrario delle accademiche, è una licenza lunga, che comprende anche una clausola di risoluzione nel caso di uso aggressivo dei brevetti da parte di un licenziatario.