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Una breve storia personale del software libero 33


Copyleft, ne abbiamo parlato nel capitolo scorso, è un insieme di condizioni tese a forzare il fatto che se un’opera è stata licenziata sotto una particolare licenza, tutte successive opere derivate conservino la stessa licenza. Non è però solo una questione di licenza. Occorre anche effettivamente avere la possibilità materiale di modificare il software. Averne semplicemente il diritto non è sufficiente. Ecco perché nel software è particolarmente importante avere accesso al codice sorgente. Ecco perché una delle condizioni più importanti per il copyleft nel software è quella che impone a chiunque distribuisca il codice oggetto di un’applicazione di mettere a disposizione il codice sorgente completo corrispondente alla versione modificata di tale applicazione, così che anche lo sviluppatore iniziale possa giovarsi delle modifiche, potendovi mettere mano.

Nel software, per questa ragione, “copyleft” viene sovente tradotto con “accesso al codice sorgente”. Questa identificazione della parte con il tutto è alla base anche dell’espressione di “open source”(“sorgente aperto”) rispetto al più corretto “software libero”, in cui “copyleft” è un attributo di alcune licenze (ma ovviamente non di tutte). Non tutto il software libero, anche quello nato in tempi più recenti, infatti, pretende l’accesso al codice sorgente come condizione di licenza. Nondimeno molto spesso anche software non soggetto a condizioni di copyleft vede, di fatto, un accesso anche integrale al codice sorgente, ma senza che vi sia una garanzia che ciò avvenga, come appunto per gli UNIX nati in ambito universitario, e come più tardi accadrà con il sistema operativo dei Macintosh di Apple, MacOSX.