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API e nuvole, la faccia chiusa del web

L’openness ha una faccia oscura, che si fa vedere solo attraverso un messaggero fumoso e impercettibile. È il “cloud computing”, tanto di moda nei circoli di quelli che parlano di innovazione, non sempre a sproposito. Il cloud, però, non è altro che software dei cui servizi ci avvaliamo via rete tramite interfacce e protocolli. Software che sta da qualche parte, sovente sul computer di qualcun altro, a cui quindi non abbiamo accesso, se non tramite “servizi” che vengono esposti via rete. Questi servizi vengono fruiti o direttamente, tramite una pagina web accessibile in un browser, o “dietro le scene”, tramite altri protocolli e interfacce in cui sono i computer e i relativi programmi a parlarsi tra loro. Protocolli e interfacce che vanno sotto il nome di “API”, cioè Application Programming Interface. Ecco spiegato il titolo, almeno la prima parte.

Un problema di disponibilità

Nei capitoli precedenti abbiamo discusso come le questioni dell’openness nascano principalmente dalla “chiusura” data da diritti di privativa (diritto d’autore, brevetti, diritto sui generis del database). In certi casi, come per il software distribuito come codice oggetto, la mancanza di accesso al codice sorgente impedisce un’adeguata modificabilità (dunque adattabilità) del software. Mancanza tutelata dal diritto attraverso la inviolabilità del segreto (il codice sorgente è consi-