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— Ma, nulla! — rispose la signora Teresa. — Col carattere di quella figliuola!

Marietta, alle parole del dottore, si sentiva trambasciare:

— Uccellaccio di malaugurio!

— Aria, aria; le finestre sempre aperte, e poca gente in camera... Veda, veda... Mi raccomando.

E il salotto era pieno di signore, da mattina a sera, che restavano lì a chiacchierare con la signora Teresa, dopo aver dato una capatina nella camera dell’ammalata.

Venivano anche gli uomini. La conversazione si animava; e l’ammalata diventava un pretesto.

— La Teresa — disse un giorno il cavalier Mochi alla signora Maiocchi — deve essere contenta della malattia di sua figlia, lei che ama tanto le visite.

— Maligno!

La Penci malignava, alla sua volta, con la signora Villa quando il Mochi andò di là, dall’ammalata.

— Che assiduità quel Mochi!

— Un vecchio amico di famiglia!

E sorridevano maliziosamente nel vederlo poco dopo ritornare in salotto col suo andare saltellante, aggiustandosi il goletto e tirando fuori i polsini della camicia, come uno che si fosse levata con nulla una seccatura di dosso.

Marietta era rimasta per più di venti giorni al capezzale della padroncina, giorno e notte.

— Un prodigio d’infermiera! — diceva il dottore fregandosi le mani dalla soddisfazione, ora che la crisi era superata. — Ma, vedano, ci vuole un po’ di tempo prima che l’ammalata possa rimettersi in forze.

— Com’è deliziosa la convalescenza! — ripeteva spesso Giacinta.