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xxii due pagine autobiografiche.

mani dei pedanti. Mi pareva infine che ci fosse due sorta di arte: una, serena di serenità olimpica, arte di tutti i tempi, che non appartiene a nessuna terra; l’altra, più appassionata, che à le radici nella patria, all’ombra del campanile, nel cortile della casa materna: la prima, quella di Omero, di Fidia, di Virgilio, di Torquato: l’altra, quella dei Profeti, di Dante, di Shakespeare, di Byron: ed io ò tentato di tenermi a quest’ultima, perchè mi piaceva vedere come codesti grandi uomini pigliano la creta della lor terra e del loro tempo, e ne modellano una statua viva che somiglia ai loro contemporanei.

Siccome poi l’amore alla poesia si andò svolgendo dentro di me coll’amore al mio paese, così ò pensato di far sempre servire, come meglio potevo la prima al secondo. M’accorgevo benissimo ch’egli era un impicciolire il campo della Musa, uno strapparle molte penne dalle ali, un darle il fare, quasi direi, di vassalla; ma io sentivo l’orgoglio d’essere Italiano, presentivo che non sarei morto schiavo; e mi assunsi il canto, come si assume un debito.

Sennonchè, parecchie delle cose mie essendo state scritte sotto l’occhio vigile, bieco, sospettoso dello straniero, con lo spettro del censore che mi