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due pagine autobiografiche. xxi

dentro di noi; bisogna fare come faceva Raffaello quando traduceva la Fornarina in Madonna: il modello era profano, era mondano, e niuno meglio di lui lo sapeva; ma lui sapeva anche renderle la virginità. I Caravaggio, i Teniers della poesia non mi vanno; ma ci vuol altro a fare come la scuola umbra!

Quanto a classici e a romantici, ne ò capito sempre poco. Mi parea bensì, che queste beghe domestiche degl’ingegni, come quelle altre antecedenti sulla lingua, fossero, in fin dei conti, servigi spontanei che si rendevano al tedesco. Mi parea strano da una parte, che gente la quale sul serio, nell’intimo del cuore, invocavano il Cristo, nell’intimo poi della mente, nelle intime commozioni della poesia si incaponissero di invocare Apollo o Pallade Minerva; mi parea strano, dall’altra che gente nata in Italia, con questo sole, con queste notti, con tante glorie, tanti dolori, tante speranze in casa nostra, avessero la manía di cantare le nebbie della Scandinavia, e i sabati delle maliarde, e andassero pazzi per un tetro e morto feudalismo che c’era venuto dal settentrione, la strada maestra delle nostre sventure. Mi pareva inoltre che ogni arte poetica fosse a maraviglia inutile; e che certe regole fossero mummie imbalsamate dalle