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due pagine autobiografiche. xv


Povera Michelangiola! tu se’ ita così presto. I tuoi occhioni azzurri, così pieni di giovinezza e di sorrisi, si spensero; il tuo snello corpicino di donna immatura fu chiuso entro una rozza cassa di abete; e addio. Un mattino passavi davanti a me soletta; la tua manica era impolverata di farina; ed io osai di pulirti la spalla. Fu l’unica confidenza che ò avuta con te: allora mi parve un grande ardimento: in quell’istante il cuore mi batteva in sussulto; e siamo divenuti rossi tutti e due, come due ciliegie. Non so se ti amassi; so che allora la chiesa mi pareva vuota, se, la festa, non ci eri tu; so che quando sonava l’organo, io cercavo quasi per istinto la tua testina, come fosse anch’essa un’armonia; so che fra le cento voci dei vespri, io distinguevo la tua voce di fanciulla, che fra le cento inginocchiate, in un batter d’occhio, io trovavo il tuo velo candido con que’ bei ricciolini che ne scappavan fuori. Oh, i tuoi capelli! sono tanti, anni, e li ho ancora davanti agli occhi. In Grecia quando muore una ragazza, si vede pendere qualche treccia alla sua tomba, con sópravi uno scritto, come ad esempio: della Dima dal collo di cigno: della Tea dal dolce canto. Le sue compagne in lutto le ànno tagliata quella treccia, e gliel’àn posta là come il più gentile ornamento che avesse. Se tu fossi morta