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ripetono che, a differenza di altri poeti ispirati dalla filosofia e dalla religione, egli considerò i sepolcri politicamente. Ma quel sentimento, espresso da altri in maniera per lo più vaga e incerta, il La Vista lo rende così com’era stato improntato dalla potente personalità del poeta; ed apre una nuova via alla nostra immaginazione, facendole balenare il Foscolo che mediti il suo carme tra quelle tombe, il cui ricordo gli dettò il luogo più famoso del suo lavoro: «Io, quando il monumento Vidi ove posa il corpo di quel Grande, Che temprando lo scettro a’regnatori, Gli allòr ne sfronda...» ecc.

Quanto sia stata felice questa intuizione vedasi anche da ciò, che il Foscolo stesso, in persona di Jacopo Ortis, aveva detto: «Presso a que’ marmi [le sepolture di Santa Croce] mi parea di rivivere in quegli anni miei fervidi, quand’io, vegliando su gli scritti de’ grandi mortali, mi gittava con l’immaginazione fra i plausi delle generazioni future»1 Or il nostro giovane autore compì con quel suo cenno il pensiero e il presentimento di Jacopo. Questo sì ch’è penetrare nell’intimo degli scrittori!

Ma, insomma, egli intendeva tutte le cose più egregie, perchè le pensava e le faceva egli stesso. Il carme del Foscolo ha sempre avuto una singolare eloquenza per le grandi anime: Garibaldi lo sapeva tutto a mente. E il nostro giovane, tra quei Sepolcri foscoliani, tra quei superstiti che seguono a vivere con

  1. Lett. del 27 agosto 1798.