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352 luigi la vista

ascensione sul Vulture, descrivendo quella fatta da Angelo, personaggio nel quale evidentemente ritrasse se medesimo! Sentite che bellezza: «Un giorno che ei s’inerpicava sopra uno dei più alti gioghi degli Appennini, ei sentiva che più ascendeva in alto, più si sgombravano i pensieri della miseria e della realtà. Il vento che gli fischiava negli orecchi, stordendolo, parea che lo incuorasse a salire; gli occhi stanchi si riposavano con piacere sul verde soave delle messi nascenti; le membra infralite e rotte dalla veglia e dall’inedia si ristoravano nell’aere leggiero e freschissimo, e nel profumo temperato delle erbe e dei fiori selvatici. Mai non era salito tant’alto; giunto sul vertice del monte, si volse intorno, e guardò; un cielo immenso gli luceva sul capo, un immenso paese gli rideva dinanzi. A quello spettacolo ei si sentì come innanzi ad una persona venerata, come innanzi ad un essere temuto. Per la prima volta ei si spaurì innanzi alla natura; per la prima volta la vide sterminata, la sentì arcana. Nelle sue corse fanciullesche egli avea scherzato col vento della vallata, con gli uccelletti del piano; avea superato tutto, e si era creduto superiore a tutto: ora il vento gli urlava intorno, quasi sdegnato gli gridasse: — Questo è il regno dei venti; verme, torna alle farfalle della tua siepe. — La luce lo cingeva e lo abbagliava; i raggi gli bruciavano la pupilla, e parea che gli gridassero: — Questo è il regno del sole; ragazzo, torna alle lucciole della tua vallata».1

  1. Memorie cit., pp. 283-4.