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prefazione XXIX

canti dove sono descritti affetti di diversa natura. Manca loro sovente quella novità d’immagini e freschezza di tinte che abbiamo sin qui ammirate. Se si restringe a significare immediatamente le proprie angosce, il poeta desta sempre qualche moto nei nostri cuori: così, per esempio, gl’interviene nella saffica: «Ad una stella»1, dove, con presentimento che pur troppo doveva esser verace, esclama:

    Ma poco, il sento, fermerò le piante
        Di qua dai cieli peregrin romito:
        Fra poco solcherò l’onda sonante
                    De l’infinito.

Ma quando dell’umano dolore cerca il significato universale, allora egli rimane non di rado inferiore a se stesso. Talvolta, contristato dai propri affanni, chiede soccorso alla fede cristiana, contrappone anzi questa al dubbio e alla negazione, onde tanti cuori gentili piansero ai nostri tempi; ma non sempre ottiene gli effetti sperati. Il

  1. Pag. 192: scritta nel 1859. Del medesimo anno sono, anche secondo il De Clemente, alcune altre poesie che abbiamo ristampate nel presente volume, cioè: Il Negro (pag. 189), Il primo cadavere (pag. 200), Al mio salice (pag. 205), Ad Emma (pag. 225).