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il cantico de' cantici 269

abbattuto in certi inaspettati e subiti passaggi dalla seconda alla terza persona e da questa a quella, dal presente al passato, e dal passato al futuro, io li ho gelosamente conservati sull’esempio della versione latina: ove ho trovato delle immagini nuotanti, a mo’ di dire, in una luce vaporosa e indefinita, che suol tanto contribuire alla misteriosa potenza della poesia, io non ho avuto l’animo di spoetizzarle con malaccorte circoscrizioni di tempi e di modi.

E convien sul proposito notare come io mi sia pressochè sempre attenuto alla Volgata; ma quantunque volte ho creduto che pel vantaggio artistico del mio lavoro io potessi, senza offesa al senso mistico del Componimento, preferire la diretta lezione del Testo Ebraico, io, confortato altronde d’autorevolissimi esempii, l’ho francamente preferita, e il lettore se ne avvedrà di leggieri1.

D’altra parte nelle movenze e nella progressione del Cantico de’ Cantici v’ha certa musica d’idee e di affetti più che di parole, la quale può anzi sentirsi che

  1. Per esempio: la Volgata (Cap. II, v. 4) legge: «ordinavit in me charitatem;» e il testo Ebraico ha: «e la bandiera di lui sopra di me è l’Amore!» che all’evidenza è più poetico. La Volgata (Cap. IV, v. 2) legge: «absque eo quod intrinsecus latet;» e nel Testo Ebraico alcuni leggono; «infra le tue chiome;» altri: «entro il tuo velo;» e nelle pupille da colomba, trasparenti amorosamente dal velo, o dal velame delle chiome sparse e ricadenti con fantastica profusione su per le tempie della giovinetta ebrea, parmi maggior luce di poesia, più verità, e più fedele pittura di costumi ad un tempo. La Volgata (Cap. IV, v. 9) legge: «Vulnerasti cor meum!» e nell’Ebraico è detto con più forza: «Tu mi hai rapito il cuore!» E così via via: la sostanza è sempre la stessa: non variano che le forme e le tinte.