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il cantico de' cantici 261

nale, ecco i due segni, a’ quali ho constantemente mirato nella esecuzione di questo mio volgarizzamento. — La Cantica, umanamente considerandola, è poesia di un re: è concezione di un poeta, che fu monarca potente e magnifico, padrone della più splendida Corte dell’Oriente, sapientissimo fra gli uomini e figlio del più gran Lirico del Mondo. Tranne pochi Talmudisti, i quali delirando vollero riferirla ad Ezechia, ovvero ad Esdra, tutt’i Rabbini convengono, e nessuno potrebbe ormai revocarlo in dubbio, che la Cantica appartenga a Salomone, figlio di David.

Sterminate ricchezze erano raccolte negli Erarii di Gerusalemme. David avea messo in serbo la somma di 1248 milioni di lire per la costruzione del Tempio, e l’annua entrata di Salomone sembra che montasse a quarantasei milioni, senza computarvi i pedaggi, le gabelle, e i donativi de’ re arabi e de’ governatori d’Oriente. Era inoltre tradizionale l’ispirazione poetica nella Reggia di Sion. Fra quelle sale, riscintillanti d’oro e di gemme, ricorrea tuttavia lo spirito di David: migliaja di cantori ne ripeteano nel Tempio gli inni profondi ed ispirati, e le lagrime del coronato veggente rigavano ancora il timpano di quell’Arpa sublime, che avea scongiurata l’ira di Saul, melodiate le glorie di Dio, rallegrati i trionfi d’Israele, pianta la morte di Gionata e consolati gli ultimi dolori del canuto Salmista prima che scendesse a dormire co’ suoi padri.

Fra quelle corde quasi ancora frementi sotto il tocco della mano paterna, trovò Salomone quegli echi melodiosi e indefiniti, onde armonizzò gli amori della