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prefazione XXI

poche delle difficoltà che sono proprie di cotesto genere d’arte. E anche mostrano come, per abbondanza di vena, per ricchezza d’immagini e per squisita fattura di verso, il Sole già sovrastasse a tutti gli altri poeti che allora fiorivano in Napoli.1 Con che ardente desiderio vagheggiava nei «Pensieri poetici» gli antichi esempi dell’eloquenza forense, e come ci fa intendere la sua segreta ammirazione per un’altra specie di eloquenza, caduta poco avanti nella nostra patria con tante altre non meno nobili cose! Quanti e quali affetti eccitava per tal modo nei cuori giovanili! In proposito poi del «Filo elettrico», tenta un inno alla grandezza del pen-

  1. In questa, ch’è pure l’opinione comunemente accettata, mi piace veder concorrere un così fine conoscitor di poesia, qual fu lo Zanella, il quale accennò anche all’imitazione dell’Aleardi, non avvertita ancora, ch’io sappia, da nessun altro. «Nicola Sole (egli scrisse) supera di gran lunga tutti gli altri (poeti napoletani) per certa elaborata eleganza di verso, che piacque all’Aleardi di imitare. Il suo canto al Mare Jonio e i Pensieri poetici sulla eloquenza del foro penale hanno tratti stupendi di novità e di splendore. Il Sole nato nell’antica Lucania ha cantato con vigore dantesco l’ultimo tremuoto che sconvolse quella infelice provincia». (Storia della letteratura italiana dalla meta del settecento ai giorni nostri per Giacomo Zanella, Milano, 1880, pag. 253).