E non ti ascolto mai ch’io non rammenti
I rosei giorni de l’infanzia mia,50
Quando al suono de’ tuoi molli concenti
Così dolce la sera a me venia.
Tremolavano in ciel gli astri lucenti,
Le sue brune finestre il borgo apria,
Splendea la luna per gli eterei piani,55
E i fochi de’ pastori ardean lontani.
Io da le braccia de la madre allora
Ascoltando il tuo verso entro al giardino,
Il picciol fratel mio, che piango ancora,
Credei tu fossi, o caro usignuolino!60
E a quell’amata ricordai talora
Rispondesse benigna al tuo latino;
Ed ella pur fra sorridente e mesta
Su la mia fronte dimettea la testa.
E come forte piansi e abbrividii,65
Ai dolci inganni de la nova scola,
Quando Attica fanciulla in te scovrii,
A cui l’onor fu spento e la parola!
Quanto dolor, quanta pietà sentii
Di te, fanciulla abbandonata e sola,70
Che presa da vergogna e da spavento
A la notte fidavi il tuo lamento.
D’allor, se al vespertin raggio cadente,
Del fiumicel natio lungo la riva,
Il tuo gorgheggio, o rosignuol dolente,75
Da l’odorata ombra de’ pioppi usciva,