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244 | Donne illustri. |
costretta a passare in Italia, donde non ripatriò che alla caduta dell’impero.
La Récamier aveva conosciuto a Roma il Canova (1813) e l’abate suo fratello e indivisibil compagno. Tra la bellezza e l’arte dovea correre simpatia: e di fatto l’artefice e l’involontaria modella s’intrinsecarono tanto che fecero casa insieme in Albano. Andata a Napoli, al ritorno, il Canova le fece una improvvisata. Condottala al suo studio, alzata una tenda verde, apparvero due busti di donna modellati di terra; l’uno in capelli, l’altro semi-coperto di un velo. «Miri se ho pensato a lei,» le disse il grande artista. Era il suo ritratto. Ma ella non se ne compiacque; anzi si mostrò come confusa e dispiacente; forse, nota il Guizot, perchè, conoscendosi perfettamente, non le paresse di avere le pure e severe linee della venustà greca, e pertanto non credesse star bene in marmo. Il Canova ne fe’ una Beatrice, ed ella, quando l’effigie fu consacrata col nome della donna amata da Dante, pare si contentasse che venisse ribattezzata nel nome suo; poiché alla morte del Canova, il fratello la mandò a lei co’ versi di Dante:
Sovra candido vel, cinta d’oliva
e con queste altre parole: Potrait de Juliette Récamier modelé de mémoire par Canova, 1813.
Dopo alquanti anni, nel 1819, si andò come a nascondere all'Abbaye aux Bois, rue de Sèvres; ma ebbe colà una corte di uomini famosi e devoti. Una sua nipote, madama