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Giustina Renier Michiel. 159


la distruzione degli Ezzelini in Alberico da Romano e nella sua famiglia. Rimproverava al pittore l'elezione del subbietto, di orribile ferità, che tanto meglio spiccava nella mirabile evidenza della rappresentazione. Essa non amava quelle pitture, sia di pennello o di penna, che educassero l'animo all’inumanità ed alla ferocia.

La Renier aveva in singolar modo il dono proprio dei Veneziani, lo spirito. Scherzava anche sulle tracce dell’apoplessia e sul suo Museto storto. I suoi scritti, le sue arguzie davano maraviglia e diletto; sebbene la sua conversazione fosse difficile per essere divenuta sorda, era tuttavia ricercatissima. Quando il celebre improvvisatore latino Gagliuffi fu a Venezia, le signore che non intendevano un’acca de’ suoi versi mostravano andarne in visibilio. Ella ne rideva. Ed essendole presentato il poeta, dopo i soliti complimenti, disse all’amico che lo presentava: «Con voi poi, signore, sono in collera per avermi tardato tanto il piacere di conoscere un sì gran valentuomo: avete forse creduto che per intendere ed ammirare ì suoi improvvisi io fossi più sorda delle altre signore?»

La Venerina veneziana aveva gli occhi scintillanti di luce sempre serena; rosee le labbra, abituate nel riso, secondochè lasciò scritto un’altra valente donna, l’Isabella Teotocchi-Albrizzi. Ella vestiva con grande semplicità; nella sua gioventù specialmente, il più di bianco con una ghirlandetta di rose in capo: e quando era costretta a mettersi in gala, appena tornava in libertà: «Corro a smascherarmi,» diceva, e rigodeva nei suoi abiti schietti. Così ella amava la campagna e il consorzio con la natura. «Poveri, voi altri cit-