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Tullia d’Aragona. 145


Qual vaga Filomena, che fuggita
È dall’odiata gabbia, ed in superba
Vista sen va tra gli arboscelli e l’erba,
Tornata in libertate e in lieta vita,


Er’io dagli amorosi lacci uscita,
Schernendo ogni martire e pena acerba
Dell’incredibil duol, che in sè riserba,
dual ha per troppo amar l’alma smarrita.


Ben avev’io ritolte, alti, stella fiera!
Dal tempio di Ciprigna le mie spoglie,
E di lor premio me n’andava altera:


Quando a me Amor: Le tue ritrose voglie
Muterò, disse; e femmi prigioniera
Di tua virtù, per rinnovar mie voglie.


Fin qui col solito garbo e con rara dolcezza Alessandro Zilioli. E pare veramente che la Tullia amasse alcuna volta davvero, e anche sentisse timore di non essere corrisposta e gelosa. E ne abbiamo segno nel seguente sonetto ch’ella scrivea al Varchi sotto nome di Damone, essendo egli stato uno dei primi e più felici nelle ora proscritte pastorellerie:


Se ’l Ciel sempre sereno e verdi i prati
Siano al bel greggie tuo, dolce pastore,
Vero d’Arcadia e di Toscana onore,
Più chiaro fra i più chiari e più pregiati;


Se tanto in tuo favor girino i fati,
Che tor mai non ti possa il dato core,
Filli, nè tu a lei tuo santo amore,
Onde ti gridi ogn’uom saggio e beato;