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nella capitale della Lombardia, sicchè quando l’Annoni annunziò al comitato della guerra l’imminente arrivo d’un esercito piemontese, poco o punto i membri di quello mostraron curarsi di sì importante novella. Risposero che stavano essi organizzando un’armata, e che d’altronde il nemico, sgominato e fuggente, temeva piuttosto d’essere assalito, di quel che minacciasse attaccare.

Invano l’Annoni, facendosi forte della propria esperienza, obbiettò che gli eserciti non s’improvvisano, che in luogo di sprecar tempo, fatiche e denaro a tentare la formazione di pianta d’una intera armata, cosa assolutamente impossibile, meglio le mille volte valeva levare 60,000 soldati, coi quali si sarebber riempiti i quadri già pronti dei Piemontesi, e quelli far ogni sforzo onde provveder d’armi e di munizioni di qualunque maniera.

Non lo si volle udire, e gli si offerse invece il comando d’un reggimento di cavalleria, comando che, tra il non aver per anco ricevuta notizia dell’accettazione per parte dell’Austria delle sue dimissioni, tra l’affanno ch’ei risentiva nel mirare qual triste piega prendesser le cose, recisamente respinse.

Fusionista fin da quel momento, in cui non tutti lo erano, l’Annoni, scoraggiato, disilluso e giustamente offeso, vedendo il niun caso che facevasi dei suoi savi consigli, si ritrasse per qualche tempo dalla scena politica, vivendo solitario in un suo casino di campagna.

Venuto, tuttavia, più tardi a sapere per mezzo di lettera particolare che la sua dimissione eragli stata consentita dall’Austria, e non permettendogli il suo patriotismo, allorchè le sorti italiane incominciavano già a volgere alla peggio, di rimanersi inoperoso in disparte, mentre la gran madre avea bisogno del braccio di tutti i suoi figli, si diè premura di offrire la propria spada a re Carlo Alberto, che gli provò non averlo dimenticato, nominandolo subito colonnello.

Nel mentre, però, ch’egli stava organizzando l’accordatogli reggimento, accadde la ritirata de’ Piemontesi, l’occupazione di Milano per parte del nemico, e poco