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si riguardò come uno dei primi patrocinatori di Napoli, che pur tanti ne ha contati e ne conta di celebri.

Con questo, e per tradizioni di famiglia, e perchè gli è difficile che un uomo veramente d’ingegno e di studio sia altra cosa, il Conforti era liberale e desioso quant’altri mai di vedere la patria italiana unita, forte ed indipendente. Quando accaddero gli avvenimenti politici del 1848 si gettò gli occhi sopra il Conforti, e lo si nominò dapprima procuratore generale presso la gran corte criminale di Napoli, quindi consigliere della suprema corte di giustizia. Il 12 aprile consecutivo poi lo si fece entrare nel gabinetto presisieduto dallo storico Carlo Troya, confidandogli il portafoglio degli interni. Ognun sa come quel ministero spingesse il restio Ferdinando II ad adottare le misure le più altamente italiane, col decretare l’invio dell’esercito napoletano in Lombardia per combattere l’Austriaco, e della flotta sicula nell’Adriatico per proteggere Venezia. Il Conforti dette la sua dimissione insieme a tutto il ministero il 15 di quel funesto mese di maggio, in cui il Borbone stracciava l’atto costituzionale da lui stesso giurato e ne gettava i brani nelle vie insanguinate di Napoli.

Rientrato nella vita privata, il Conforti non potè goderne a lungo la tranquillità, giacchè, ricercato dalla polizia, dovette refugiarsi in Genova, ove non tardò a pervenirvi notizia della sua condanna a morte in contumacia.

Trasferitosi indi a poco a Torino, gli venne concesso esercitare la professione d’avvocato patrocinatore, e lo fece in modo così splendido, che in breve tempo si ebbe uno dei primi posti nel foro piemontese; fu chiamato a difender cause in quasi tutte le provincie del regno e perfino nella Svizzera.

Socio di tulle le principali istituzioni accademiche dello Stato, membro del congresso d’istruzione, presidente della sessione tecnica e della società dell’emigrazione italiana, professore privato di economia politica ecc., il nostro protagonista, nell’agosto del 1860, rientrò in Napoli, ove fu ministro dell’interno sotto la dittatura Garibaldi, rendendo uno dei più segnalati