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e potersi ben dire che a lui fosse rimasto l’onore della seduta.»

Appena decretata la fusione, il Paleocapa fu inviato a Torino per istipularne l’atto formale, che venne poscia per legge sancito dal Parlamento e dal re. Ed essendo allora ricomposto il ministero sotto la presidenza del commendatore Casati, il nostro protagonista vi ebbe il portafoglio dei lavori pubblici. — Questo ministero, dopo la sconfitta di Custoza e i deplorabili eventi di Milano, dovette dare la propria dimissione. Paleocapa però fermò sua stanza in Torino, sconsigliato dal tornare in Venezia dalle esorbitanze della fazione demagogica ch’era risorta con molto vigore, e non poteva perdonargli d’avere con tanto calore propugnata la causa della fusione. È da notarsi che quella fazione stessa costrinse Manin a cacciarne i capi da Venezia, i quali colle loro fanatiche declamazioni minacciavano turbare quella quiete e quella concordia, che pur era necessario si mantenessero in un paese, che quantunque abbandonato da ogni soccorso esterno, aveva il fermo proposito di difendersi, come il seppe, fino agli estremi, colle sole sue forze, contro il nemico potente, e dallo proprie vittorie inorgoglito.

Poco tempo dopo il Paleocapa fu nominato ispettore del genio civile e membro del consiglio delle strade ferrate. Gioberti sul finire del 1848 essendo pervenuto alla presidenza di quel ministero, che venne poscia chiamato democratico, fece vive sollecitazioni al nostro protagonista onde nuovamente accettasse il portafoglio dei lavori pubblici. Vi si rifiutò questi col dichiarare apertamente, com’egli non confidasse nel buon esito della guerra che voleasi troppo precocemente ricominciare, e che a parer suo, anche nella ipotesi di un primo fortunato successo, non poteva che aggravar le sventure di quel paese che egli era nella nuova combinazione ministeriale chiamato a rappresentare. Così fu che il Paleocapa attese a disimpegnare fino al principio del mese di novembre del 1849 le sole sue funzioni d’ispettore del genio civile.

In questo punto però, salito al ministero Massimo d’Azeglio, in qualità di presidente del consiglio, offrì