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Scrisse, giovane, gran numero di liriche, le più da caldo, da sdegnoso affetto di patria inspirate; ma siccome ei le spargeva qua e là, e di difficile accontentatura qual si è, non sembrava appagarsene e ne faceva niun caso, così sventuratamente quasi che tutte le andarono sperse.

Più tardi, sul punto di laurearsi in legge, pubblicò un poema, l’Arnalda — fanciulla di Cipro che appicca fuoco alla santa-barbara del vascello» ottomano, che traevala schiava — ed in quello la tavolozza del poeta si mostra di già ricca di splendide tinte, il suo pennello scorre già facile e sicuro sulla tela, e le grandi figure del quadro, al pari dei menomi accessorj di esso, son già pinti da mano maestra.

Poscia il poeta sentì ristretto l’orizzonte che racchiude i colli nativi, e percorse la Toscana e visitò Roma e Napoli.

Quella vasta, solenne e severa scena della natura italica che si noma l’agro romano, commosse profondamente l’animo del nostro vate e gl’ispirò un poema intitolato: La Campagna di Roma, ove nell’ordine in cui le si affacciavano alla mente e al cuore dell’Aleardi, peregrinante attraverso quelle eloquenti e maestose solitudini, ci cantava glorie e sventure italiane in modo degno degli eroi di cui interrogava la polve.

Mal per noi che di quel poema non rimanga che un solo canto, il Circello, essendo il rimanente stato distrutto una tal notte in cui gli sgherri austriaci che il menavano prigione fecer man bassa su tutte le più preziose sue carte.

Rimase quindi l’Aleardi muto di versi per oltre sette anni; quindi mise fuora Le Prime Istorie, Le Città Marinare, Un’Ora di giovinezza, Raffaello e la Fornarina, poesie tutte che fecero il giro della nostra penisola, e che furono per ogni dove accolte col più vivo entusiasmo.

L’Aleardi scrive quasi sempre in isciolti, il più arduo de’ versi italiani, e possiam dire che tre muse ispirino ognora i suor carmi: la Natura, la Moralità e la Patria.