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almeno per rapporto agli effetti, ma noi rattiene, nè lo sminuisce, in niente e per niente.

Egli è filantropo, egli è patriota — e che patriota! lo sanno le prigioni di Mantova e di Josephstadt — egli è un caldo ammiratore delle sublimi bellezze della natura, egli è uno scienziato, un filosofo, un economista, e domani sarà forse un grande oratore.

Il suo carattere risponde alla sua fisonomia: l’uno e l’altra schietti, affabili, attraentissimi. Della sua persona accade come delle sue poesie: chi ne legge una se ne innamora, la torna a rileggere, fa ricerca delle sorelle, e le ha e le serba per le più care cose del mondo; chi avvicina l’Aleardi l’ama d’un tratto, e vorrebbe starsegli a fianco tutta la vita.


A Verona, sullo scorcio del 1812 è nato il nostro poeta, da una delle più antiche famiglie patrizie di quella città, ivi trapiantatasi dalle Romagne prima del mille, e che spegnesi in lui.

Dalle grandi e miti scene della natura, dai campi aperti, dai ridenti colli ove trascorse la giovinezza beata, dalla santità dei costumi domestici, dallo smisurato amore onde i suoi genitori l’amavano — amore cui corrispondeva per parte d’Aleardo una sorta d’adorazione non cessata con la vita di essi — da tutte queste buone, belle e sante cose, derivò forse nell’animo del giovinetto quel sublime istinto di poesia, governato da soavissimo affetto, che doveva più tardi traboccargli dal cuore a conforto e ad ammirazione di chi il conosce dappresso, o legge i suoi carmi.

Uscito di collegio, compiti gli studî legali a Padova, mortigli in braccio — ohimè! di soverchio dolenti di staccarsi da tal figlio — e padre e madre, rimase soletto con una sorella, presso la quale si raccolse e cui dedicò ogni sua affezione.

Si fu allora che la sua mente divagò, senza guida e cupida di sapere, per molta varietà di discipline or di filosofia, or d’economia politica, or di scienze, naturali; e tutto approfondiva e riteneva tutto, ma l’amore di poetar lo vinceva.