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privazioni e alle fatiche si assottigliavano ogni giorno di più, dopo aver sostenuto un’ultima e disperata pugna a Morazzone contro un numeroso corpo imperiale, Garibaldi riparò in Isvizzera e giunse a Lugano seguito da soli ventinove individui, recante seco la bandiera forata da una palla di cannone.

Soggiornato alcun tempo colà, anche per curarsi della terzana che già da lunga pezza il tormentava, rientrò quindi in Piemonte, passò a Nizza e quivi rimase alcune settimane onde finire di ristabilirsi in salute. Ma in ottobre, dato convegno ai superstiti della sua legione in Livorno, s’avviò con essi per gli Appennini a Ravenna, da dove sul primo avea divisato recarsi in soccorso di Venezia, ma poscia, mutato consiglio, si mosse alla volta di Roma.

Noi non rifaremo l’istoria delle vicende politiche, mediante le quali quell’antica capitale del mondo divenne la sede d’un governo repubblicano alla cui testa era un triumvirato composto d’un Mazzini, d’un Saffi e d’un Armellini; nè ricorderemo come avvenisse la spedizione dei Francesi; solo diremo, che non appena si seppero sbarcati questi ultimi, il nostro protagonista, che per modestia aveva dapprima accettato grado e titolo di colonnello, venne promosso a generale, e fu messo a difendere le mura dell’alma città da porta Portese fino a porta San Pancrazio.

La sua brigata comprendeva i due battaglioni della sua legione, il battaglione detto dei trecento reduci, il battaglione universitario, forte di circa quattrocento combattenti, trecento guardie di finanza mobilizzate e infine un battaglione di fuorusciti politici, con circa un trecento uomini anch’esso, sicchè il totale sommavano a circa 2,500 soldati.

E qui, onde dare un’idea al lettore di queste truppe del nostro eroe, non possiamo trattenerci dal citare le eloquenti parole di quel valoroso patriota che chiamavasi Emilio Dandolo, sì prematuramente mancato all’Italia e agli amici:

«Garibaldi e il suo stato maggiore — egli dice — sono vestiti in blouses scarlatte, cappellini di tutte le fogge, senza distintivi di sorta, e senza impacci di mi-