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«In conclusione però, i più (e fra questi mi pare anche il signor Saffi, che a quanto rammento mostravasi e parlava temperatissimo) finirono per piegare alle mie esortazioni d’indugio. E in fatti niun moto per loro fortuna seguì allora in Romagna; dico per loro fortuna in allora, poichè Gregorio XVI mori poco dopo: niuno, credo, fu scoperto e le cose mutarono.

«Or, domando io: in che mancai di sincerità? In che li ho ingannati? in che danneggiai l’opera italiana? In qual tempo vorrebbe il signor Saffi che fosse avvenuta l’insurrezione? In quei pochi mesi che precedettero la morte di Gregorio, o dopo? — Ma in quei pochi mesi le condizioni politiche non s’erano ancor mutate. Dopo dunque? Cantando l’inno Viva Pio IX? o in compagnia dei Gregoriani?

«E in Piemonte dopo le nuove ognor crescenti speranze (speranze, per Dio! Carlo Alberto quanto a lui non tradì) come avremmo dovuto o potuto rifarci mattamente e slealmente cospiratori repubblicani?

«Or due parole sole sulla lettera del De-Boni, numero 41. — Manco male ch’ei mi dichiara uomo franco e risoluto! In buon’ora! Aveva però diritto di aspettarmi dalla antica amicizia e dalla sua buona fede, ch’egli a mio riguardo dimenticasse un tantino di più lo spirito di parte ed usasse minore ambiguità di parole nelle ultime linee, che nel detto numero si leggono in corsivo. Io giunsi in Milano il giorno dopo la cacciata degli Austriaci, e non sapeva, nè poteva sapere, se non poche e generalissime cose sui primi atti del governo provvisorio. Arrivando, sentii alcuni biasimarlo, perchè mostrava accostarsi al Piemonte; sentii, da pochi, è vero, blaterazioni insulse e peggio contro i Piemontesi: mi si disse persino che taluni ci aveva tacciati di croati. Come fare a non montare in istizza? Confesso che non sono umanitario a tal segno. Ciò mi mosse la bile e dissi francamente ed altamente che la era un’indegnità. Or perchè, De-Boni mio, non dir la cosa chiara e tonda invece di quella contorta circonlocuzione: biasimava fortemente quei pochi che biasimavano il governo provvisorio di non aver provveduto alla libertà e alla dignità d’Italia,