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venisse stampata a Genova, nè a Torino, e ove l’autore non l’avesse mandata all’Academia di Lione, che veniva di riceverlo socio, e che si dette premura di farla subito pubblicare, egli è probabile che non avrebbe per allora almeno veduta la luce.

Con questi sentimenti, dotato d’altronde di non comune ingegno, il Costa doveva prendere, e prese difatti, non tenue parte al movimento del 1848, anche come collaboratore del Corriere Mercantile, nel qual giornale pubblicò una serie d’articoli formanti opuscolo intorno alle condizioni della Sardegna, avendo a cuore sopratutto di metter in vista l’anomalia e l’ingiustizia della separazione amministrativa di quell’isola dal rimanente degli Stati del regno, separazione a cagion della quale i prodotti sardi pagavano dazio d’entrata e d’uscita.

Intanto in casa dell’avvocato Costa riunivansi i membri del circolo detto l’Unità Italiana, alle quali riunioni interveniva pure talvolta il generale Garibaldi, e colà spesse volte il nostro protagonista prendea la parola e propugnava idee e principî d’indipendenza nazionale e di libertà.

Mortogli il padre nel 1850, egli lasciò l’esercizio della professione, che aveva sempre, del resto, prestato gratuitamente, e onde metter ordine ai propri affari alquanto intralciati e compromessi a causa delle largizioni che il Costa faceva spesso e volentieri in favore della patria o degl’individui, si occupò d’imprese di commercio e d’industria, assumendo la perforazione della galleria di Valenza e costruzione del tronco annesso, che furono condotte egregiamente a fine e gli dettero agio di procurare pane e lavoro a molti emigrali che mancavano del bisognevole.

Offertogli in varie occasioni di portarsi candidalo per la deputazione, egli aveva sempre rifiutato tale onore, finchè nel 1855 accettò di venire eletto a rappresentante nel Parlamento dal nativo collegio d’Alghero che da quell’epoca in poi gli ha sempre riconfermato il mandato.