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nazioni, e ch’ei continuasse in pari tempo ad ornarsi lo spirito di quelle cognizioni letterarie che tanto giovano anche all’uomo di Stato, se vuole che il proprio concetto più facilmente sia compreso ed approvato da altri.

Se non che l’affanno ispiratogli dal crudele spettacolo delle patrie sventure, che la polizia papale e l’inferocire del soldato straniero tuttodì rendevano più aspre, era sì cocente nell’animo del bennato giovine, che la prudenza mancogli e nell’aprile del 1855, dopo aver già sopportate infinite molestie da quei governanti, scampò quasi per miracolo ad una mano di soldati portatisi di notte tempo in sua casa, per arrestarlo. Così ei prese come tanti altri infelici il duro cammino dell’esilio, e riparatosi dapprima in Toscana, passò da questa in Piemonte, ore chiese indarno di essere abilitato all’esercizio della sua professione.

Tolta allora in mano la penna scrisse articoli letterarî, e visse e sopportò la penosa vita dell’emigrato con animo nobile e forte.

Sul finire del 1856 accettò impiego presso una società commerciale in Sardegna, ove stette da venti mesi spesso travagliato dalle febbri. Colà apprese la morte dell’infelice suo padre — infelice davvero che nel distaccarsi per sempre da questa terra non poteva avere la suprema consolazione di stringere un’ultima volta al seno l’amato figlio! — e seppe della condanna che il tribunale austriaco aveva pronunciata contro di lui; condanna, tuttavia, che ignorasi qual pena sentenziasse contro il Finali, mentre non pubblicò le sue conclusioni risguardanti i contumaci.

Surse finalmente la beneaugurata primavera del 1859, i cui fiori non dovevan cadere prima che l’Italia vedesse in parte avverata la diuturna speranza del suo riscatto, e il nostro protagonista fu uno de’ più attivi membri d’un comitato che si era prefisso il santo scopo di promuovere l’arruolamento de’ volontarî degli Stati romani nell’esercito sardo.

E ognun ricorda in fatti come arrivassero a torme quei nobili figli dell’Emilia, caldi anch’essi come i Toscani, come i Lombardi e i Veneti di desio di brandire un’arma e di marciare contro il nemico della patria.