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beneficenze, finchè, volendo i governanti stranieri profittare di tali incarichi del Belgiojoso per astringerlo a recarsi ad assistere in uniforme a funzioni di chiesa ed altre, egli, ritenendo a buon dritto quella pubblica mostra in unione ad uomini ligi all’Austria od Austriaci incompatibile coi suoi sentimenti e la sua dignità di caldo italiano, credette necessario dimettersi da ogni ufficio e rientrare nella vita privata.

In questi, però, non si rimase inoperoso, chè anzi, sopratutto nel 1858, non mancò di fomentare per parte sua e de’ suoi il movimento nazionale, sicchè il 3 giugno del 1859 la polizia austriaca invadeva il suo palazzo per arrestarlo; ma invano, chè, prevenuto a tempo, il Belgiojoso erasi evaso e rifugiato a Como, già fatta libera per opera del nostro gran Garibaldi. Rimasto colà sino al 5, rientrò in Milano in quel giorno auspicato in cui la capitale di Lombardia vide per la seconda ed ultima volta allontanarsi sperduta l’aborrita aquila a due teste per far posto alle aquile vittoriose di Francia e di Savoja. Nominato subito il nostro conte a maggiore della Guardia nazionale, fu incaricato immediatamente dai suoi concittadini dell’importantissima organizzazione dello Spedale di Santa Prassede, entro il quale si doveva raccogliere l’enorme quantità di francesi feriti nella battaglia di Magenta.

Nominato per decreto reale il dì 10, in via straordinaria, all’insigne ufficio di podestà di Milano, disimpegnò queste alte e rilevantissime funzioni in tempi così difficili, così grossi d’avvenimenti, con ogni possibile sollecitudine e capacità.

Per di lui cura e per cura degli assessori De Herra, De Leva, Margarita, Boretti, Rougier, Giulini e Porro i numerosi corpi d’armata che transitarono durante la guerra e dopo questa per Milano non soffersero mai penuria di viveri nè di alloggi, e ciò che più importa, i numerosissimi feriti di Melegnano, di Solferino e di San Martino ebbero tutti i conforti possibili in appositi stabilimenti, creati quasi per miracolo nella generosa capitale lombarda, ove niuno ignora d’altronde che la carità privata gareggiò con la pubblica nell’ospitare e nel curare con ogni gentile ed