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tinuato ancorchè si fosse aderito al licenziamento dei croati dell’Arsenale; e però ei venne eccitato ad esporre francamente quali fossero le vere intenzioni della città; al che egli rispose senza esitanza che la città non sarebbe stata tranquilla finchè tutti i mezzi di offesa e di difesa non fossero posti in mano dei cittadini.

«Gli fu replicato che ciò equivarrebbe a domandare un’intiera abdicazione, ed egli soggiunse non sapere di ciò, sapere bensì di non poter rispondere delle luttuose conseguenze che deriverebbero dall’insistere nel rifiutarsi a soddisfar questo voto e ch’egli andava a riferirne al municipio; come fece immediatamente, eccitando esso municipio, per consentimento dello stesso governo, a portarsi presso di questo a spiegargli il voto del popolo, senza di che l’effusione del sangue sarebbe inevitabile.

«L’assemblea incaricò allora una deputazione di alcuni fra i suoi membri onde portarsi al palazzo del governo e ripetere tale voto ai due governatori, e salvare la città dalla strage.

«La deputazione fu composta del sig. podestà Correr, dei due assessori municipali signori Luigi Michiel e Dataico Medin, dell'avvocato Avesani e del sig. Leone Pincherle, ai quali venne ad aggiungersi il signor Fabris, deputato centrale, e partì alle ore tre e mezza pomeridiane. L’avvocato Mengaldo, comandante la Guardia civica, sopraggiunse duranti le trattative.

«Introdotta negli appartamenti di S. E. il sig. conte Palffy, governatore delle provincie venete, la deputazione lo trovò circondato dal suo consiglio di governo.

«Egli allora prese la parola, e cominciò il suo discorso con un severo e lungo rimprovero delle imputazioni fatte al governo affine di produrre, egli diceva, l’agitazione del popolo, e ch’egli ad una ad una andava enumerando e dichiarando false.

«Interruppe questo preambolo l’avvocato Avesani dicendo:

«— Siam noi venuti qui per ricevere rimproveri all’uso antico, o per negoziare?

«Al che il signor governatore si eresse ancor più, lagnandosi dell’interruzione, ed aggiungendo ch’egli