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recò a Padova, d’onde, compiti gli studî preparatorî in quel liceo, trasse ad apprender legge nell’università di Pavia, nella qual città s’ebbe la laurea nell’anno 1825.

Rientrato in patria, fatte pratiche e avuta licenza d’avvocato, si fissò a Leno, ove visse operoso e onorato, seminando buoni esempi ed ottime azioni e raccogliendo la stima, la fiducia e l’affetto de’ suoi conterranei.

Sorvenne l’epoca del 48, questo primo allarme della gran lotta nazionale, e l’avvocato Beccalossi fu invitato a lasciare in un canto digesto e codice per ricordare le militari discipline apprese nella Paggeria del principe Eugenio, e giovarne i suoi compatrioti.

Accettò di buon grado l’incarico, e tanto e così efficacemente s’adoperò come organizzatore e come istruttore, ch’entro il breve termine di pochi giorni Leno possedeva un battaglione di guardie nazionali, di cui era naturalmente, e per unanime acclamazione dei militi, eletto a maggior-comandante il nostro avvocato.

E i momenti di prova non tardarono ad arrivare.

L’Austriaco si ritraeva fremente per la patita sconfitta, e un corpo intero d’armata stava per passare da Leno.

Come lo si può agevolmente pensare, la notizia dell’arrivo di sì poderoso stuolo nemico fu udita con isgomento dei Lenesi; si temevano rappresaglie, rapine e vendette, nè senza ragione, come più tardi si ebbe in più d’una provincia d’Italia a farne la straziante esperienza. I membri del municipio fuggirono e si nascosero; il Beccalossi, egli che certo avea da temer più d’ogni altro l’odio dello straniero, fu la sola autorità che rimanesse al suo posto. E non soltanto rimase al suo posto, ma comprendendo quanto maggiori danni potessero risultare al paese dell’essere così sprovveduto d’un capo che valesse a rappresentarlo e a sostenerne gl’interessi, ove pur fosse d’uopo, presso il comandante supremo delle truppe ostili, assunse la direzione, la responsabilità di tutto e di tutti.

E ben gliene colse. Quel suo fermo e dignitoso contegno ne impose all’Austriaco, che trattò il paese e