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in Piemonte, dove perdette miseramente la vita dopo sette anni di esilio.

Giuseppe, dopo lunga latitanza nei boschi e tra le balze di Basilicata, fu costretto a costituirsi in prigione, ove rimase per due anni sino al 1832; quando, tradotto a pubblica discussione innanzi alla Gran Corte Criminale di Basilicata con rubrica e requisitoria di morte, fu liberato; ma costretto prima per amara derisione a forzati esercizi spirituali in un convento di frati riformati, poi a domicilio coatto, con inibizione di esercitare la propria professione.

Scrisse il D’Errico nella prigione le Georgiche italiane e continuò ad esercitarsi nei famigliari suoi studi.

Venuto il 1860, e quando Garibaldi non ancora aveva passato lo stretto di Messina, la Basilicata insorse unanime, e gran parte il D’Errico si ebbe in quei movimenti, dappoichè prima diffuse la rivoluzione in Terra di Bari, e poscia, come maggiore della Guardia nazionale, s’adoperò con taluni distaccamenti di linea alla repressione della ribellione del Melfese, restituendo alla devozione del Governo italiano le città insorte del circondario di Melfi.

Per tali importanti servigi venne decorato della croce dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Il D’Errico vacava ai suoi studi diletti ed esercitava in Napoli la sua professione d’ingegnere, allorchè nel 1863 venne con grande maggioranza eletto deputato dal collegio elettorale di Potenza in Basilicata.

Questa circostanza e l’esercizio dei nuovi e grandi doveri gli hanno impedito di continuare la pubblicazione di altri suoi lavori. Attualmente si occupa a pubblicare un operetta sul commercio ed il grande e piccolo cabotaggio in Italia.

Egli è socio dell’Accademia Pontaniana, dell’Istituto Archeologico di Roma, di quello di Prussia e di altre Accademie.

Fin qui le notizie trasmesseci da persona che conosceva molto davvicino il D’Errico, e che era punto in grado di parlarne con molta cognizione, come lo si può del resto giudicare da quanto sopra è stato esposto.