Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 999 — |
Gli affanni domestici, e fors’anco il dover costatare con tanto suo dolore come la scienza da esso praticata non giovasse sventuratamente a salvare coloro che più gli erano cari, lo indussero ad abbandonarne la pratica. Nel 1842 il colleggio di Voltri lo eleggeva a proprio rappresentante nel Parlamento nazionale.
Non appena egli si fu seduto in questo, che si mise nel centro destro alla cui testa trovavasi l’onorevole conte di Revel, sotto la cui bandiera si oppose ai piani finanziari del conte di Cavour.
Questo grand’uomo di Stato si sa che non poteva essere sul principio della sua amministrazione molto popolare, come non lo era di fatti, giacchè la popolazione del regno subalpino, che si sentiva pesare addosso troppo gravemente i balzelli ch’egli con molto coraggio civile proponeva e sosteneva dinanzi al Parlamento, non poteva andare a riflettere, a bella prima, che quei balzelli stessi dovevano dare i mezzi, non d’ingrandire e di profittare al Piemonte, ma sibbene di fare l’Italia.
Il conte di Revel aveva quindi assai bel giuoco a combattere le leggi presentate dal conte di Cavour, e questi in quel tempo era l’impopolare, e il popolarissimo era il suo onorevole contradditore.
Lorenzo Ghiglini, dal canto suo, nella prima legislatura come nelle altre consecutive, nelle quali fu sempre rieletto dallo stesso colleggio di Voltri, si manifestò sempre avverso alla politica cavouriana e fino agli ultimi tempi in cui sede nella Camera elettiva, cioè fino al 1859, nelle occasioni solenni prese la parola e pronunciò discorsi a più d’un titolo rimarchevoli, sempre però diretti a combattere la politica dell’eminente ministro.
Il Ghiglini come il conte di Revel suo capo-fila, avevano una ragione, se non eccellente, almeno speciosa di opporsi così agli intendimenti del conte di Cavour. Essi non negavano certo il sommo suo ingegno e l’ardimento e la vastità dei suoi concepimenti.
Ma appunto si spaventavano della immensità di questi, e temevano che l’ardimento suo non dovesse trascendere in temerità.
Il Piemonte, tale qual era, colle sue istituzioni li-