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«L’esercito è pronto, l’esercito si è rilevato dallo stato in cui trovavasi dopo l’inaspettato, l’imprevisto suo rovescio»

Il ministro dell’interno, Pinelli, dichiarava:

«Quanto alla mediazione, siamo in questi termini, che si dichiari alle potenze mediatrici che, attesa la tergiversazione dell’Austria nell’assegnare una risposta alle proposte fatte, atteso quanto poco lealmente fossero eseguili i patti dell’armistizio, attese le circostanze attuali del tempo, noi prenderemo consiglio dall’opportunità unicamente, e che non siamo legati che dai patto di denunziare da otto in otto giorni l’armistizio».

E le circostanze del tempo a cui accennava Pinelli, per quanto concerneva l’interno del nostro paese, venivano esposte con una verità che ognuno sapeva di non poter contestare dallo stesso Rattazzi in un abilissimo suo discorso: «Noi siamo, egli diceva, in uno stato il più terribile e il più fatale per una nazione; in uno stato, nè di guerra, nè di pace. Non abbiamo la guerra, ma ne soffriamo tutte le disastrose conseguenze senza averne le speranze. Le forze della nazione si esauriscono; il commercio langue; le finanze rimangono impoverite, le imposizioni ci colpiscono, le braccia sono tolte all’agricoltura senza alcun frutto».

Nè qui stava tutto. Una emigrazione immensa era affluita in Piemonte dalla desolata Lombardia, ed era più che naturale che a lei ogni indugio paresse una vergognosa prudenza, poco meno che un tradimento. II Re dal suo canto, nell’animo cavalleresco sentiva tutte le punture degl’iniqui sospetti che contro lui si diffondevano, ed era impaziente di ritornare su quei campi, dove avevano già arriso alla fortuna d’Italia le vittorie di Rivoli, di Santa Lucia, di Goito, di Pastrengo, di Peschiera. Infine la repubblica, proclamata a Roma e in Toscana, mandava il suo ruggito di minaccia, e con franca ingenuità dalla tribuna Angelo Brofferio diceva:

«Deliberate la pace, ed io vi accerto che la repubblica delibererà la guerra».