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Nemico acerrimo com’egli era del dispotismo e non potendo certo, per tristezza dei tempi, abbattere il governativo, si dava a tutt’uomo a scuotere e paralizzare quello dei privali prepotenti che avessero intenzione o proponimento di usar soverchieria ai deboli e agl’impotenti. Si fu questo suo generoso e leale agire che gli cattivò la stima di tutti i buoni nel suo paese natale. Calabrese nell’anima, egli era sempre in relazione con tutti i liberali che formicolavano, per così dire, nelle nativo provincie. Dimodochè allorquando Ferdinando II concesse si a malincuore la costituzione nel 1848, il Guinti venne eletto deputato a quel parlamento. Ma la reazione non tardando, appoggiata com’era dalle bajonette svizzere e fomentala dalla camarilla, non tardando, diciam noi, a prendere il sopravvento, il Guinti, designato come uno dei più sinceri liberali, fu fatto scopo dell’ira e della persecuzione dei borboniani, i quali, non paghi d’intentare ad esso un processo criminale, lo intentarono pure ai suoi tre fratelli, uno dei quali fu condannato ad otto anni di ferri.

Il nostro protagonista tuttavia rimase incolume da condanna, ma non dalle persecuzioni e dalla sorveglianza la più tirannica, la quale non finiva mai di invadere la sua abitazione sotto pretesto di visite domiciliari, obbligandolo a domicilio forzoso e impedendogli talvolta fino l’accesso ai propri poderi.

Per cavarsi da tante angustie, nel 1856, mercè la spesa d’ingenti somme di denaro, ottenne di poter trasferirsi a fissare il proprio domicilio in Napoli, d’onde non ha mai potuto uscire neppur per restituirsi provvisoriamente a sorvegliare i propri interessi nella sua terra natale.

Venuto finalmente il giorno della libertà, Francesco Guinti fu giudicato degno dì rappresentare il proprio paese nel Parlamento nazionale italiano e venne eletto deputato dal collegio di Verbicaro.