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forze sono paralizzate dalla mancanza di carattere politico. Essi dubitano di sè stessi e del principio della rivoluzione che si lusingano di rappresentare. Essi si credono democratici... Dio santo! democratici di carta dipinta!»

Al Biancheri non si può applicare in tutto e per tutto questa definizione. Egli è uomo di mente e di cuore, deputato assiduo, eccellente cittadino, oratore che non manca di chiarezza e di facondia, di energia e di spontaneità. — Certo non si può non deplorare ch’egli siasi, per così dire, infeodato alla bandiera del Rattazzi.





Era ufficiale di cavalleria; si è messo nella vita politica non sappiamo troppo dire con quali titoli e per quali aspirazioni. Vi fu un tempo in cui si sedette sui banchi dell’estrema sinistra, e si potè credere facesse causa comune coll’ottimo Macchi, al quale si strinse allato. Non ammettiamo però che i democratici lo ritenessero mai per uno dei loro, malgrado i fieri discorsi da esso letti alla Camera.

In sostanza era devoto esso pure al Rattazzi e cercava di servirlo a suo modo, tentando raggranellargli qualche partigiano tra le fila degli estremi oppositori al gabinetto Cavour. Nelle elezioni generali del 1860, malgrado tutti gli sforzi da esso fatti, non potè riuscire a trovare un collegio che ne accettasse la candidatura. Allora entrò apparentemente nella redazione della Monarchia Nazionale, giornale creato e sorretto colla borsa del capo del centro sinistro, sebbene possiamo esser convinti che il periodico rattazziano non abbia pubblicato molti articoli suoi. Candidato universale e perpetuo di tutti i collegi elettorali vacanti, caduto il ministero Ricasoli e succedutogli quello presieduto da Rattazzi, mediante le influenze del mi-