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e l’Italia spera nel valor vostro ed in quello della nostra squadra per dare all’assedio una soluzione diversa e più consentanea al voto di tutti noi, usi a combattere, non a trattare, e fidenti nelle armi nostre più che nei diplomatici consigli.

«Soldati!

«A voi è noto da molti anni il sentiero della vittoria. Ricorretelo di nuovo e rispondete alla fiducia sovrana; rispondete alle speranze della patria penetrando per la breccia in Gaeta, ed inalberando la bandiera italiana e la croce di Savoja sulla torre antica d’Orlando.»

Un vapore spagnuolo venne fermato dai nostri incrociatori ed essendovisi trovato a bordo un ufficiale latore di dispacci all’ex ambasciatore della propria nazione presso Francesco II, lo si condusse alla presenza di Cialdini, il quale intimogli d’andarsene, coll’aggiungere che se l’ambasciatore spagnuolo erasi lasciato chiudere entro una piazza stretta d’assedio non poteva non subire le conseguenze di tanto eroismo.

Altro vapore francese recava invece a Francesco II una lettera di proprio pugno dall’imperatore Napoleone III, in cui questi consigliava al Borbone di cedere ormai la piazza mentre ogni resistenza sarebbe riuscita vana quanto poco umana.

Il tiro formidabile delle nostre artiglierie facevano intanto, il dì 6 febbraio, saltare in aria l’intero bastione che appellavasi di Sant’Antonio. Un parlamentario, spedito dagli assediati, veniva al campo impetrando una tregua di 48 ore affine di poter sotterrare i cadaveri degli estinti e porger soccorso ai feriti che in mezzo alle rovine del diroccato baluardo tristamente gemevano.

Umano sempre, il Cialdini concesse la supplicata tregua, esigendo tuttavia, a buon diritto, che il nemico non approfittasse di essa onde restaurare le mura dei forti dai danni patiti. Se non che i borbonici fecero addirittura l’opposto di quanto avevano solennemente