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erano spossate, malconcie assai dall’ardore del sole, dal lungo cammino, dalla scarsezza del cibo; pure non mandavano un lamento.

«Mi piangeva il cuore a tante pene, a tanta abnegazione, diceva poscia il generale negl’intimi discorsi di famiglia; ma sapeva di quanto giovamento sarebbe riuscita la mossa che quelle truppe eseguivano e mi trovai costretto a far tacere la compassione, posponendola al dovere. I soldati mi compresero e mi obbedirono. Che bravi soldati!»

Il 17 settembre le truppe riposarono e si refocillarono.

Lamoricière, raggiunto da Pimodan, tenta il 18 d’aprirsi un passaggio fra le due divisioni del 4° corpo d’armata; Pimodan assale furiosamente le nostre posizioni avanzate, ove l’Aspio mette nel Musone, ma il generale Cialdini, assicurato alle spalle da un reggimento che occupava Camerano per ordine provvidissimo dato dal brigadiere Cugia, vi manda il nerbo delle sue forze che lo respingono con impetuose cariche alla bajonetta. Sopraggiungono altre colonne, guidate dal Lamoricière; ma prese di fianco dalla cavalleria, respinte di fronte dai fanti, e straziate dalle artiglierie che le fulminavano, fuggirono disordinale verso Loreto, lasciando in mano dei nostri 400 prigionieri, fra cui Pimodan ferito e morente, artiglierie, cannoni e bagagli ed un’infinità d’armi e di zaini.

Intanto una colonna nemica, uscita d’Ancona per dar mano all’impresa di Lamoricière, vista la mala parata, tornò precipitosamente nella piazza, non senza che i nostri, i quali ne assalirono la coda, le facessero un 300 prigionieri.

Lamoricière fuggì a briglia sciolta dal campo e con una trentina di cavalieri riuscì a guadagnare Ancona.

Tenuto a calcolo la stanchezza e il disordine in cui dovevano essere le forze nemiche riparate a Loreto, il generale Cialdini si persuase come non fossero in condizione da sfuggirgli, e approfittò dell’oscurità della sera per chiudere loro ogni possibile ritirata.

All’indomani Recanati, Sant’Agostino, le Case Lunghe erano occupati dai nostri, ed il nemico non avendo