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quell’epoca lo seguì dapprima come segretario, poscia s’inscrisse qual volontario nel corpo che si raccoglieva dagl’insorti per marciare su Roma.

Andata, come ognun sa, a male quella levata di scudi il Farini, compreso nell’amnistia, tornò a Bologna per compirvi i suoi studi, e nonostante le persecuzioni delle quali fu oggetto per parte della polizia, occupandosi a tutt’uomo della scienza salutare alla quale si era dedicato, si acquistò fama di abile nella sua professione ed ebbe numerosa clientela. Indi a poco il suo paese nativo lo richiamava nel proprio seno affidandogli la condotta medica di quel comune.

Nel 1845, avendo partecipato a quella congiura che aveva per iscopo una nuova insurrezione nelle Romagne, ed essendo stato informato da persona amica, che ove egli fosse rimasto più a lungo a Russi, la polizia non avrebbe tardato a porgli le mani addosso, si refugiò in Toscana, dapprima, ma neppur là vedendosi abbastanza quieto e sicuro si recò in Francia e pose dimora a Parigi.

Il desìo dei luoghi nativi e sopratutto il bisogno di prendere cogli amici gli opportuni concerti per dirigere i nuovi moti che si preparavano a redimer l’Italia, l’indussero indi a non mollo a rientrare chetamente in Toscana, daddove si mise in comunicazione con quegli uomini ardimentosi che levarono lo stendardo della rivolta in Rimini.

Si ricorderà che in quella circostanza fu pubblicato un manifesto dai sollevati, che produsse profonda impressione negli animi di tutti coloro ai quali fu dato di leggerlo.

Quel manifesto fu scritto dal Farini, e ci sembra tal documento, da doverne almeno farne conoscere la conchiusione ai nostri lettori:

«E non è di guerra lo stendardo che noi innalziamo, ma di pace, e pace gridiamo e giustizia per tutti e riforma di leggi e garanzia di bene durevole. Non sarà per noi che una sola goccia di sangue si sparga. Noi amiamo e rispettiamo i soldati pontifici, noi li abbracciamo come fratelli che hanno comuni con noi i bisogni, i desideri e le onte, e procacciando