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tere l’esistenza del paese, ci presentò il duca di Savoja, dicendoci:

«— Ecco il vostro nuovo Re!

«Pronunziate queste parole, ci strinse affettuosamente la mano e si ritrasse nel suo gabinetto.

«Così finiva la sua vita politica quel Re che iniziò con mezzi poco adeguati la grande impresa del risorgimento italiano. I contemporanei gli han dato e dalla posterità gli verrà ben a ragione confermato il titolo di magnanimo.»

Da quel momento il generale Durando si rimise a tutt’uomo alla vita politica, e ben presto, veggendo, col discernimento di chi ha senno maturo, sorgere un personaggio ch’ei prevedeva dover guidare i destini della patria a meta sublime, ei si adoperò ad appoggiare, in ogni occasione, in Parlamento le proposte di quello, che non era altri che il conte di Cavour.

E laddove l’appoggio dell’onorevole generale fu di gran giovamento all’eminente uomo di Stato, si fu appunto allorquando si discusse nella camera dei Deputati l’opportunità della spedizione di Crimea.

Il discorso pronunciato dal nostro protagonista in quell’occasione, non solo riscosse i vivissimi applausi dell’illustre Assemblea, ma senza dubbio contribuì assaissimo ad indurla a votare la spedizione, dalla quale, come ognun sa a quest’ora, dipendevano le sorti d’Italia.

Noi non possiamo privare i nostri lettori dei principali squarci di quell’orazione, che forma uno dei titoli più incontestabili del Durando alla gratitudine degli italiani.

«Sì, o signori, esclamava l’oratore con energica voce, la guerra cui noi siamo chiamati a partecipare è guerra d’indipendenza, guerra di libertà. Aggiungo di più che questa guerra non contraddice affatto quella politica tradizionale italiana che noi pratichiamo da più di tre secoli, e neanche quella politica speciale che ci siamo assunta, dopo la guerra del 1848.

«Io intendo di provarvi, o signori, che la guerra è necessaria, utile e conveniente: 1.° rispetto alla nostra posizione politica con riferenza all’Europa; 2.° riguardo alla nostra posizione in relazione all’Italia. Io ho bisogno di tutta la vostra indulgenza, o signori,