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diera giobertiana, che allora sfolgorava più grande che mai, l’aver ricondotto dalla Lombardia al regio Piemonte oltre cinquemila lombardi, il fior della gioventù di quel paese, erano tutti peccati che non mi si volevano perdonare.

«Ressi quel governo, senza poter far altro bene che guadagnar tempo. Ne’ tempi di commozione politica è qualche cosa, ma soltanto grandi e fortunati eventi possono migliorare una situazione disastrosa; essi invece si svolsero fatalmente e Genova nell’aprile del 1849 andò in fiamme, e vi fu necessità di salvarla con lo stato d’assedio che io mi contentava di far presentire.»

Eletto deputato al Parlamento nazionale dal patrio collegio di Mondovì, Durando si assise alla destra accanto ai Revel, ai Menabrea ed ai Balbo, perchè comprendeva ch’era d’uopo rafforzare il partito della resistenza, laddove quello della rivoluzione sconsigliata ingrossava e minacciava di tutto travolgere.

E quando finalmente quest’ultimo ebbe vinto e indusse in mal punto il Piemonte a romper la guerra contro l’Austria (chè noi reputeremo sempre disastri i disastri, sebbene per avventura da essi col progresso del tempo e degli avvenimenti sien derivate prospere vicissitudini per la patria), il Durando, ridivenuto soldato, con animo poco fiducioso di vittoria, è pur vero, ma fermo ed intrepido, tornò in campo ed ebbe parte massima in quella breve campagna che tanto lutto sparse in Italia.

E qui più che mai ci piace ceder la penna al valoroso generale che ci fa la più veridica e commovente descrizione di quella fatale battaglia, che fu detta la Waterloo dell’italico risorgimento.

«Verso le 10 del mattino, stando in Novara nel palazzo Bellini, udimmo i romori delle prime cannonate. I cavalli erano già sellali e pronti; salendo le scale del palazzo, raggiunsi sul pianerottolo il Re Carlo Alberto; mi fermò; era calmo e sereno come l’uomo che va a compiere un gran dovere a costo d’un gran sacrifizio. Almeno, mi disse, potessimo quest’oggi far una buona giornata. Chi sa!... — io non potea rispon-