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antinazionale degli Austriaci. Definita tale questione in senso favorevole ai buoni patrioti, i più chiari tra questi furono portati alla direzione della società delle strade di ferro lombarde e il Broglio stesso venne nel 1842 nominato segretario della direzione, posto nel quale rimase fino al 1846, epoca in cui dovette rinunciarvi per essere stata la Società incamerata dal governo austriaco.

Riprese allora il Broglio la sua carriera di professore privato, sostenne quindi gli esami d’avvocato con nota distinta, non potendo però mai, a causa d’opposizione per parte della polizia, ottenere una nomina nell’avvocatura.

Al cominciare del 1848 il nostro protagonista ebbe a soffrire una perquisizione domiciliare e un principio di processo criminale per accusa di complicità con Manin, allora prigioniero in Venezia, nel delitto di perturbata tranquillità dello Stato.

Scoppiata la celebre rivoluzione di Milano, il Broglio fu uno dei primi a prendervi notevolissima parte, correndo al principio delle ostilità grave pericolo di vita, e venendo assunto fin dalle prime ore a segretario del governo provvisorio.

Lavorò in tale sua qualità col conte Giuseppe Durini, uomo di vasto ingegno e di nobilissimo cuore troppo presto e troppo sventuratamente rapito all’Italia da morte quasi improvvisa nel 1850, il quale era incaricato del portafoglio degli affari interni, e si recò con esso, con Gaetano Strigelli, ora consigliere di governo in Milano, e con Andrea Lissoni, ora deputato anch’esso, a Torino per trattare col governo del Re del regime provvisorio di Lombardia dopo la legge di fusione.

Sopraggiunte le sventure militari del 1848 e la capitolazione di Milano, il Broglio emigrò in Piemonte, dove fu ben presto eletto deputato al Parlamento nazionale dal collegio di Castel S. Giovanni.

Votò in allora col partito Gioberti e fu dal ministero dell’illustre filosofo nominalo professore d’economia pubblica nell’università di Torino. Sciolta la Camera negli ultimi giorni del 1848, venne rieletto deputato,