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segrete, più o meno repubblicane, una specie di grande impresario di tutti gli spettacoli rivoluzionari da darsi in futuro. Io, che non voleva legami con alcuna setta, neppur per sogno, non volli accettare questo generalato, ma dissi che volentieri avrei intrapreso un giro, nel quale articiosamente avrei esposto i miei progetti; liberi coloro cui non piacevano di respingerli. Così rimanemmo d’accordo, ed una mattina me ne partii, solo, per esse certe di non aver meco una spia, e con un vetturino della Marca uscii fuora di porta del Popolo ad intraprendere la mia via crucis. Andava a piccola giornate di paese in paese. Al primo nel quale avevo un nome, ricevetti da questo un secondo nome pel paese vicino, e così di mano in manu potei andare dappertutto. S’intende che per trovare ove abitavano i proprietari dei suddetti nomi, non m’informavo nè dai camerieri di locanda, nè da alcuna di quelle persone che suole prediligere la polizia. Era un piccolo lavoro diplomatico, nel quale aveva abbastanza grazia e di fatto non ho mai compromesso nessuno.»

Il moto di Rimini, che resultò dall’effervescenza riscontrata dall’Azeglio nelle Ramaglie, moto da lui non consiglialo, gli fornì occasione di mandar fuora quell’opuscolo politico conosciuto sotto il titolo: Gli ultimi casi di Romagna, che ognun sa quanto eco destassero io Italia e fuori.

Ma quando nel 1848 l’Italia risorta si apprestò a combattere per la propria indipendenza, l’Azeglio si ricordò allora di aver maneggiato la spada prima di aver tolto in mano il pennello e la penna, e combattè eroicamente sotto le mura di Vicenza finchè cadde assai gravemente ferito in una gamba.

Le sorti italiane cadute a Novara, il nuovo re Vittorio Emmanuele, che voleva conservare le franchigie concesse dal padre e preparare le future battaglie, si scelse a capo del gabinetto l’Azeglio fidando nella sua prudenza per rattemprare le ire crucciose che bollivano all’interno senza che il fuoco sacro del patriotismo e della libertà si spegnessero.

Fu certo un’ardua missione quella per l’Azeglio; ma ognun ch’abbia fior di senno dee convenire che