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E per finire di giudicare l’Azeglio come artista, noi crediamo prezzo dell’opera il riportare in queste pagine il criterio ch’ebbe a proferire di esso sotto quel rapporto il Mongeri, che in tal materia ognun sa ch’è giudice competentissimo.

«L’Azeglio, così si esprime quel dotto ingegno, quando si presentò la prima volta tra noi era maestro. Veniva da Roma, ove aveva studiato profondamente e donde era mosso dietro alla vaghezza della natura italiana, dalla campagna circostante fino all’estrema Sicilia. Il franco e sincero pennelleggiare faceva fede della sua maestria. la qualità de’ lavori dava argomento de’ suoi affetti e de’ suoi viaggi. L’oriente era la scena della morte del conte di Montmorency: l’alto palmizio che teneva il centro del dipinto ricordava la Siria: e tuttavia si discerneva, nonostante l’amistà di quel cielo col nostro, che quella luce soave era piuttosto rapita al nostro sole. Il medesimo era da dire, e con maggiore appropriatezza, del Combattimento di Barletta, che per ragioni più alte e generose che non ha l’arte pura, attraeva l’animo e l’affetto delle moltitudini, le quali non ne levavano l’occhio che per posarlo sopra un altro suo quadro, quasi per intero di figure, la Battaglia di Legnano, argomento ancora più sacro. Noi ricordiamo ancora come una lontana e religiosa visione l’effetto maraviglioso prodotto da quelle pitture. Avvezzi come eravamo a piccoli quadri di paesaggio, al far liscio, minuto, ammanierato del Gozzi (solo alcuni lavori del Vogt e della sua scuola ci avevano fatto tralucere idee migliori), la vastità della tela, l’indole poetica dei soggetti, il concitato svolgersi del pennello, ci abbagliarono quanti eravamo sacerdoti dell’arte e profani. L’Azeglio fu salutato dagl’intelligenti nuovo Claudio, nuovo Salvator Rosa. L’ammirazione perseverò eziandio dopo sbollito l’entusiasmo: e solo taluni, piuttosto per ambizione di acuti osservatori, che per izza censoria, dissero che l’Azeglio mancava di franchezza e d’insieme, che i suoi studi avevano troppo dello scenico, le macchiette troppo rozzamente impresse, sebbene espressive e non mancanti d’una tal quale selvaggia fierezza.»