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cerca che ti cerca, mi parve di vederne mio su al quinto piano che appena lo conosceva, e degli altri due non ne seppi nuove. Portai le lettere di raccomandazione, una ad un italiano, l’altra ad un francese. — Questi, lette le lettere e inteso il mio caso, mi mostrarono molta premura di favorirmi: presero il cappello e mi dissero: Anderemo da un giornalista. Io domandai: a far che? Quelli mi guardarono in viso per vedere se parlavo sul serio o per burla. Oh bella! mi dissero: se volete farvi strada bisogna passare dai giornalisti. Io che non ho mai amato domandar protezione, nè sopratutto pregare per aver panegirici, mi sentii venire i griccioli, masticai qualche parola e mi mostrai molto freddo; tanto chè quei signori ebbero l’aria di dire: Ma che razza di stupido è questo che fa difficoltà a lasciarsi servire? Ed io, per non mostrarmi ingrato alle loro premure, non trovai modo di dir di no, e mi lasciai trascinare da questo maledetto giornalista, che mi ricevette come un pascià, al quale i miei amici esposero il mio caso, mi guardò con aria di protezione, ed io, a cui parea aver la camicia tessuta di spine, in quel momento non seppi dirgli nulla, e tuttavia, grazie alla protezione, partii con l’appuntamento preso di andare insieme a vedere i miei quadri. Io ringraziai molto i miei amici, ma quando li lasciai decisi che andassero al diavolo i quadri, le cornici e i cavalletti, s’era necessario, purchè v’andasse anche il giornalista, che non vidi più mai. Di fatto nel suo giornale l’Artiste l’orazione funebre che fece ai miei quadri fu la seguente: «Qui veut’voir jusqu’où peut aller l’excès de la facilité, n’a qu’à regarder les tableaux de M. d’Azeglio.» Il giornalista ebbe ragione nel suo senso; io ebbi ragione nel mio; onde, siamo pace e amici più di prima. I quadri poi li vendetti al duca di Devonshire e sono ora al suo castello in Iscozia. Tornato a Milano, n’ebbi una medaglia col titolo: A M. d’Azeglio, prix de paysage. In Milano seguii il mio avvenimento nell’arte: tale in quel tempo per me come per tutti, che m’accadde persino di fare in un anno ventiquattro quadri, tra grandi e piccoli, tutti di commissione.»