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costanze ne sembra che l’opera del Crispi nè fosse vana, nè immeritoria. D’uopo è anzi che i suoi stessi avversari riconoscano che tutto quanto l’organamènto civile e politico della Sicilia è a lui dovuto, organamento che in gran parte esiste tuttora qual egli lasciollo.

Che se ne fosse permesso sollevare i veli che ricoprono quelli avvenimenti, troppo recenti perchè si possa dipingerli e ritrarli con aperta evidenza, ci sarebbe dato per avventura di provare che se tutte le misure adottate dal Crispi non furono informate a quella prudenza che era desiderata da molti e i cui dettami era forse possibile in alcune circostanze di seguire meglio di quello che il nostro protagonista non l’abbia fatto, la colpa non devesene interamente riversare sopra di lui.

E non è da tenersi poco conto al Crispi di essersi a tutt’uomo opposto nel giugno del 1860 alla convocazione di un’assemblea siciliana, che avrebbe senza alcun dubbio mirato allo scopo della costituzione di un regno autonomo, e avrebbe meno facilmente dati i mezzi al liberatore dell’isola di operare la sua discesa sul continente onde cacciare i Borboni da Napoli.

Avendo seguito il dittatore in questa città, Crispi fu da esso nominato segretario per gli affari esteri.

Egli è vero che poscia Crispi si oppose anche alla troppo pronta annessione delle provincie meridionali alle settentrionali e centrali; ma non bisogna dimenticarsi che la ragione che lo induceva a ciò era delle più nobili, giacchè suo intendimento era quello che il moto rivoluzionario mediante il quale erasi compiuto il riscatto delle Due Sicilie non avesse posa, fintantochè una sola provincia d’Italia rimanesse schiava.

Tuttavia il Crispi fu uno dei primi a proclamare e sostenere la formula del plebiscito, sebbene avesse credulo dover rinunciare alla carica confidatagli.

Il collegio di Castelvetrone lo elesse a proprio rappresentante in seno al Parlamento nazionale, e da quel momento ei si recò a Torino e prese parte attivissima alle discussioni di quell’assemblea.